Fandango
2018
159
Sinossi
Anna Kreuz, infermiera in un centro di cura in Svizzera, trascorre il proprio tempo libero nella serra, cataloga, seziona, ibrida, tratta gli esseri umani come piante e le piante come esseri umani, li mantiene in vita senza parole, con gesti meccanici. Gli anni passano tra gli esercizi e i lavaggi degli ospiti, fino al giorno in cui alle sue cure viene affidata Gertrud e tra le rughe di quel viso Anna riconosce i tratti di un angelo sterminatore del passato. Poco alla volta emerge dalla nebbia la storia, reale o immaginata, del tormentato legame tra due ragazze, una zingara e un'ebrea, chiuse entrambe in un collegio, entrambe ai margini, Anna e Franziska. I ricordi cominciano a ribollire come lava, le voci a scandire le immagini. La vicenda ci viene rivelata per illuminazioni improvvise che fanno solo intuire ciò che è accaduto, o meglio ciò che la memoria restituisce come verità. Così realtà e immaginazione, o incubo, si fondono, evocate con un linguaggio secco e frammentato, che sa del dolore del castigo. Con "Il marchio", Fandango Libri comincia la ripubblicazione delle opere narrative di una delle maggiori autrici europee del Novecento, paragonata per grandezza a Paul Celan, Nelly Sachs e Antonin Artaud. Insieme a "Labambina" e "Accusata" questo primo romanzo compone La trilogia della violenza, tre pannelli netti e crudeli per raccontare, tra sogno e realtà distorte dalla sofferenza, una storia di esclusione: l'accanita persecuzione di un'etnia nel cuore della ricca Svizzera del secondo Novecento.
Il Marchio, di Mariella Mehr: insieme ai suoi due precedenti libri “Accusata” e “Labambina” l’autrice crea una trilogia denominata “la trilogia della violenza”.
Quando ho iniziato la lettura de “Il marchio” di Mariella Mehr non avevo idea di cosa stessi leggendo e forse è stato meglio così. “Il marchio” (Fandango Libri) si apre con una descrizione molto particolare dedicata alle piante carnivore che una ragazza coltiva in un’anonima serra.
La giovane donna in questione è Anna Kreuz, che lavora e vive presso un istituto di cure in Svizzera e si occupa principalmente di persone anziane. Un giorno, per caso, le viene affidata una paziente, Gertrud, che le fa tornare alla memoria episodi legati alla sua infanzia e collegati ad una sua amica, Franziska.
Attraverso lampi di luce improvvisi, il terribile passato riemerge in tutta la sua violenza: Anna rivive il suo rapporto prima di amicizia e poi d’amore con Franziska, giovane ebrea, accomunata alla protagonista da un triste e tragico destino, quello delle persecuzioni razziali della ricca Svizzera del dopo-guerra, di cui quasi nessuno sa nulla.
Leggere “Il marchio” pare semplice, ma non lo è affatto. La scrittrice, che ha ricevuto molti premi per le sue opere in prosa e in versi, ne rende la lettura appositamente criptica.
Per avere un’idea di quello di cui si parla, bisogna per forza ricollegarsi alla storia dell’autrice.
“Accusata”, “Il marchio” e “Labambina” (ndr: si scrive proprio tutto attaccato) formano una trilogia denominata la trilogia della violenza.
In questi volumi Mariella Mehr racconta parte della storia del suo popolo, l’etnia Jenisch, dedita al nomadismo e per questo vittima di persecuzioni e genocidi all’interno della “neutrale” Svizzera. Dal 1926 al 1974 infatti un’associazione privata, la “Pro-Juventute”, sostenuta dal governo, si occupa di “riabilitare” i bambini nomadi.
Tutte le etnie senza fissa dimora venivano considerate inferiori dal punto di vista intellettivo, nonché portatrici di un gene ereditario che le rendeva violente e pericolose.
Sulla base di queste affermazioni, prende piede un movimento eugenetico che sfocia in un programma concreto. Tale programma, chiamato “Kinder der Landstrasse”, aveva come obiettivo quello di rendere “normali” i bambini nomadi. Per fare questo i piccoli venivano separati dalle famiglie, veniva loro data una nuova identità, e teoricamente i bambini venivano ricollocati poi in seno a famiglie svizzere normali.
Di fatto, invece, i bambini venivano brutalmente strappati alle famiglie di origine e ciò causava loro gravi traumi psicologici. Venivano poi relegati in orfanotrofi dove subivano angherie e soprusi di ogni genere prima di passare per le mani di numerose famiglie affidatarie.
I più ribelli finivano in carcere o venivano internati nelle case di cura, dove erano sottoposti a “cure” tramite elettroshock. Inutile dire che Mariella Mehr fu una di questi bambini: tolta alla propria madre ancora piccolissima, cresce in sedici diverse case famiglia e in tre istituzioni educative.
All’età di diciotto anni le tolgono il figlio.
Questa opera di sradicamento fa crescere la sua rabbia verso le istituzioni e Mariella comincia a ribellarsi. Per questo, subisce quattro ricoveri in ospedali psichiatrici, violenze ed elettroshock e viene imprigionata nel carcere femminile di Hindelbank.
Mariella Mehr si fa portavoce del dramma delle popolazioni nomadi attraverso i suoi scritti, sia nelle sue poesie sia attraverso i suoi romanzi, di cui solo pochi sono stati tradotti in italiano. Alla luce di tutto questo, la lettura de “Il marchio” diviene più chiara e fruibile.
Lo stile volutamente sconnesso, la trama in cui vicende reali e ricordi veri o presunti tali si sovrappongono e si mischiano, hanno lo scopo principale di mostrare al lettore i percorsi di una mente turbata sull’orlo della pazzia a causa delle tragedie vissute.
Attraverso brandelli di memorie dolorose, intime e struggenti si riesce ad intuire cosa è accaduto ad Anna e cosa rappresenti Gertrud all’interno della vicenda. Se non avessi cercato notizie dell’autrice, sarei comunque rimasta dell’idea che “Il marchio” fosse una storia dell’orrore molto ben scritta.
E mi sarebbe davvero piaciuto poter continuare a crederlo.
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